Intervista su Panorama: «Caro Veltroni, non voglio morire socialista»
Centrosinistra mai nel Pse all'Europarlamento, ribadisce al segretario (e a D'Alema) il capo dei centristi del Pd. Che indica una soluzione alternativa. Perché non si può perdere l'occasione della vittoria di Obama.
«Veltroni ha una grande occasione. Deve cogliere al balzo la palla che ci offre la vittoria di Barack Obama negli Stati Uniti, preludio all'apertura di un nuovo ciclo democratico in tutto il mondo. Ora abbia il coraggio di portare il Pd su un percorso nuovo, iniziando dalla sua collocazione internazionale, che certo non può essere legata né all'Internazionale socialista né al Partito socialista europeo».
Già nell'aprile del 2007, ancor prima della nascita del Pd, Francesco Rutelli giurava a Panorama: mai nel Pse. Adesso, mentre sta per partire la rincorsa verso le elezioni europee di giugno 2009, l'ex capo della Margherita, leader dell'ala più centrista del partitone veltroniano, conferma e rilancia. Con buona pace di Massimo D'Alema e di Piero Fassino, che proprio mentre Rutelli rilascia questa intervista sono in Messico, al consiglio dell'internazionale socialista, e stanno lavorando a una federazione tra il Pd e il gruppo del Pse all'Europarlamento.
Lei vuole continuare a terremotare il povero Walter Veltroni, che ha già parecchie grane in Italia...
«Al contrario, gli propongo un assist vincente. La grande politica è fatta di novità, di scelte coraggiose. E, del resto, perché è nato il Pd se non per rompere i vecchi schemi novecenteschi?»
Rimettere in discussione una qualche forma di collegamento con il campo socialista rischia di sfasciare il partito, dividendo gli ex della Quercia dagli ex della Margherita.
«Ma non si può non registrare l'enorme novità rappresentata dalla vittoria di Obama anche nel Congresso, che apre una nuova stagione politica all'insegna di valori che non sono certo quelli socialisti. Cosa c'entra Obama con il socialismo, che è una parola impronunciabile negli Stati Uniti?»
Così, senza nemmeno passare per un congresso, lei vorrebbe cambiare identità al Pd?
«Un partito nuovo non definisce la sua identità come mediazione tra le identità ex. E matura un'iniziativa internazionale per dare una prima risposta sulla nostra identità: siamo una moderna forza riformista che si è liberata dalle zavorre e dalle divisioni del dopoguerra italiano».
Il socialismo è una zavorra ?
«L'Italia è cambiata. Non è sopravvissuto uno solo dei partiti del dopoguerra. Sono spariti la Dc, il Pci, il Psi. E anche il mondo è cambiato: oggi i partiti guida del campo progressista sono il Democratic Party di Obama, l'Indian national congress di Sofia Gandhi e il Partito dei lavoratori di Luiz Incio Lula in Brasile. Nessuno fa parte della tradizione socialista».
E un no all'ingresso del Pd nell'Internazionale socialista?
«Veltroni deve iniziare da subito (un anno è già trascorso) a lavorare per la creazione di un network di forze democratiche, europee e non. Non una Internazionale, formula ormai superata. Ma un'alleanza tra forze che condividano grandi traguardi: clima, ambiente ed energia; riforma coraggiosa delle istituzioni e delle regole economiche e finanziarie; multilateralismo efficace per combattere povertà, fame, Terrorismo, violazione dei diritti umani».
In Europa, tuttavia, come ripete Massimo D'Alema, i socialisti sono un riferimento imprescindibile.
Nulla contro una tradizione di grande valore. Ma è una foto di famiglia datata. Il campo socialista è fatto di partiti in grave difficoltà e a rischio di smottamenti verso la sinistra radicale. I laburisti inglesi non sono più classificabili come una forza socialista. In Francia e in Germania i socialisti hanno perso le elezioni. In Spagna José Luis Zapatero è in difficoltà. Persino in Scandinavia la socialdemocrazia è dovunque all'opposizione.
Le elezioni europee incombono: che cosa dovrebbe fare il Pd?
«Anche su questo fronte occorre muoversi subito. Ci sono ancora sei-sette mesi prima del voto. Il Pd deve affrettarsi a promuovere un'alleanza di centrosinistra tra le forze riformiste ed europeiste. Con i socialisti e altre forze ambientaliste e autonomiste c'è l'Alde, l'Associazione dei liberali e democratici europei, che ha 100 europarlamentari a Strasburgo e riunisce partiti di 22 paesi Ue. È un ottimo interlocutore, se vogliamo parlare anche a forze riformiste di centro, perché i socialisti da soli sono nettamente in minoranza».
Non sarà un'idea un pò velleitaria?
«E perché mai? Il Pd rappresenta 12 milioni di voti italiani. Avremmo un numero di seggi sufficiente a cambiare in pochi anni il quadro politico continentale. Guardi cosa è riuscito a fare Silvio Berlusconi con i suoi voti: in Europa era un outsider, oggi è uno dei padroni del Ppe».
Sì, ma intanto alle elezioni di giugno il Pd come va? Collegandosi a chi?
«Ci va come Pd. Anche se spero ci siano già le condizioni per promuovere un nuovo raggruppamento nel Parlamento europeo».
E la federazione tra Pd e Pse, alla quale sta lavorando la segreteria del Pd? Non sarebbe accettabile, lasciando al Pd un suo spazio di autonomia?
No, sarebbe una finta autonomia. Basta leggere gli atti e i documenti del Pse, dove viene continuamente riproposto l'orgoglio dell'appartenenza socialista.
Il gruppo del Pse sarebbe anche pronto a cambiare denominazione, a diventare il gruppo dei «socialisti e dei democratici»...
«Non mi pare una grande novità. E il Pd sarebbe sempre un ospite in casa d'altri. Con un peso elettorale doppio rispetto ai vecchi Ds».
Insomma, Veltroni dovrebbe sconfessare tutta la tradizione politica alla quale appartiene...
«Qui parliamo di orizzonti nuovi, non di difendere ex ds o ex Margherita. Di Obama e della crisi socialista ho già detto. Aggiungo un'altra considerazione: abbiamo visto che anche in Italia le elezioni si perdono o si vincono a seconda del pendolarismo degli elettori moderati. Il Pd è nato per attirare anche quei voti. E adesso vogliamo risospingerli a destra dando al Pd una connotazione europea di Sinistra?»
La sua proposta sarebbe uno smacco per Veltroni.
«No. Veltroni è in grado di assumere un ruolo da protagonista anche in Europa. A Strasburgo la scelta del presidente dell'Europarlamento è affare tra Ppe e Pse. Un nome per uno, meglio se di basso profilo, e poi via alla staffetta: mezza legislatura per uno. Il Pd dovrebbe rompere questo schema compromissorio, proponendo a tutto lo schieramento democratico, socialista, liberaldemocratico, ambientalista, il nome di una grande personalità per la presidenza».
Ha qualche idea?
«A titolo di esempio, il liberale belga Guy Verhofstadt, la socialista francese Sègoléne Royal, o l'ambientalista tedesco Joschka Fischer. Il Pd potrebbe avviare subito un giro europeo per lanciare l'iniziativa, che con il suo segno di novità e di rottura degli schemi accompagnerebbe nel modo migliore la costruzione del nuovo soggetto nel quale collocare gli europarlamentari del Pd».
E se invece Veltroni la ignora e tira dritto?
«Un partito nuovo non si afferma per forza d'inerzia: prevarrebbe la difesa dello status quo. Né per decisioni prese giorno per giorno. I cicli politici ed economici sono accorciati, ma la profondità della crisi richiede ai leader decisioni impegnative. Più di quando io guidavo la Margherita, dove pure convivevano culture politiche molto diverse, da Antonio Maccanico a Rosy Bindi. Abbiamo deciso sempre insieme, fissando traguardi difficili. Fino al più ambizioso, la nascita del Pd».
Nostalgia della Margherita?
«Quando abbiamo sciolto la Margherita, se c'era una cosa certa era che non la stavamo sciogliendo per ritrovarci nel Pse».
Stefano Brusadelli per Panorama