Rutelli al congresso del Pri: «L'attualità dell'idea repubblicana»
L'intervento di Francesci Rutelli al 46° Congresso del Partito Repubblicano Italiano
Tutti questi anni di vita della Repubblica ci hanno portato a momenti di vicinanza, a momenti di distanza. Il primo voto della mia vita, forse non lo sapete, l'ho dato al Partito Repubblicano all'età di ventuno anni. Era il 1975: all'epoca c'era l'accordo con i Radicali. Poi da allora ne sono successe di cose, ma io voglio su questo dirvi con molta franchezza e con molta amicizia quello che penso, perché mi pare che ci sia il tono giusto in questa riunione, in questa opportunità importante dopo i diciassette lunghi anni della stagione bipolare.
I nodi vengono al pettine in questa Italia. In una crisi che è anzitutto una crisi dell'economia, della fiducia stessa per il nostro Paese, per i nostri figli. Chi di noi ha figli, sa che la differenza fondamentale tra la nostra generazione e quella attuale è che questa è forse la prima che immagina di stare non meglio, ma peggio delle precedenti. Questo è il problema forse più drammatico che vivono i nostri figli. Noi tutti avevamo la coscienza che, grazie al lavoro dei nostri genitori, saremo stati meglio in termini di prosperità e in termini di benessere. In termini di libertà e anche di responsabilità. Oggi il senso profondo che rende critica e difficile la situazione per i nostri figli è invece il senso di una restrizione degli orizzonti.
La responsabilità dell'agire pubblico deve dare risposte innanzi tutto a questo. Le scelte difficile in una situazione difficile hanno toccato, lo so bene, i repubblicani. In questi diciassette anni i repubblicani si sono trovati di fronte a scelte talvolta anche drammatiche, a divisioni, a differenziazioni dolorose, che io vedo e che saluto, in un appuntamento come questo accanto all'amico Nucara e, nell'assemblea, a Luciana Sbarbati.
Vedo in questo il segno molto importante di una ricomposizione che vorrei proseguisse, continuasse, si radicasse e parlasse al paese in maniera non solo convinta, ma capace di partecipare ad un disegno più grande. So bene che voi avete, caro amico Nucara, rigettato, alla luce del fallimento, dall'inizio di questa stagione bipolare, l'idea del terzo polo, come una idea residuale, tutto sommato una idea sconfitta. E che siete stati, anche significativamente, in questa stagione, attratti dall'idea di parlare ad un'Italia moderata e riformista, ad un'Italia che credeva all'idea di una rivoluzione liberale come la si è presentata. E qui ci metto la mia idea di partecipazione a questi diciassette anni: una stagione che ci ha portato ad un punto critico. Tutto questo porta ad un bilancio negativo: io, dal 2001 al 2007, ho cercato di costruire con Democrazia e Libertà, La Margherita, una formazione nel centro e nel centro sinistra dove convivevano componenti cattolico-democratiche e laico-riformiste. Non lo debbo dire a voi, perché la famiglia repubblicana ha conosciuto tante diaspore e ricomposizioni. Da Maccanico a Bianco, da Valerio Zanone, a tanti altri amici, dentro la nostra Margherita. Voi vi siete incontrati, divisi, ma alla fine il vero fallimento che ci ha riguardati è stato quello del tentativo di portare il bipolarismo italiano verso un sistema europeo. Questo non è riuscito.
Un bipolarismo che avesse la sua pluralità di idee ma fosse in grado di dare un equilibrio alle due compagini che si contrapponevano, un po' come è accaduto nel ventesimo secolo in tutte le Nazioni Europee. In Italia abbiamo avuto l'unico bipolarismo europeo dominato dalle estreme. Dominato dal leghismo a destra, dominato dalla forze massimalistiche a sinistra. Se io ripenso al governo di cui facevamo parte: abbiamo dovuto misurarci ogni volta che tornava il rifinanziamento delle missioni dei militari italiani all'estero con una situazione drammatica. È stato l'unico bipolarismo in Europa che, anziché essere dominato dalla competizione al centro, come avviene nei sistemi bipolari, era dominato, condizionato dalle estreme. Citavo la condizione delle missioni internazionali. Purtroppo io so bene la battaglia che ho fatto e che ho perduto nel governo Prodi, perché non si dovessero spendere dieci miliardi di euro per due anni in più di pensione, quando tutta l'Europa sta andando nella direzione opposta, perché lo pretendeva Rifondazione Comunista. Ed era la condizione normale in una maggioranza che in realtà aveva un Senatore o due di differenza. Questo rendeva impossibile la guida delle forze riformiste centrali, laico-riformiste, cattolico-liberali. Il dramma di questi diciassette anni si è concluso, a mio modo di vedere, con il tentativo di trasformare il bipolarismo in bipartitismo. Due grossi partiti senza identità. Uno con un vantaggio: di avere un capo indiscusso, quello che avete ascoltato stamattina. Il che porta nei tempi attuali ad una notevole possibilità di sintesi. L'altra coalizione è impegnata su un partito, il Partito Democratico, al quale io stesso ho cercato di portare la Margherita, che ha raccolto tra i quattro e i cinque milioni di voti. Non è stata un'esperienza marginale. E' stata un'esperienza importante ma questo patrimonio è stato assorbito nella legittima e rispettabile esperienza della sinistra. Ma questa esperienza per me non può essere un punto di approdo. Si potrebbe dire: sinistra solcialdemocratica, riformista? Magari! Perché se lo fosse, dovrebbe riuscire a imporre la sua agenda alla riottosa coalizione che di volta in volta viene dominata dalle diverse istanze: giustizialiste, dalle istanze massimaliste e dalle istanze certamente non liberali.
Questo sistema sta finendo.
Ecco perché il vostro congresso, questo tentativo importane di ricomposizione della storia della famiglia repubblicana sotto il simbolo dell'Edera, è l'occasione per scomporre e ricomporre su basi nuove, non per fare un terzo polo, ma per immaginare un nuovo polo. Ho apprezzato ad esempio le tesi a cui fate riferimento per la riforma elettorale. Considero particolarmente importante che la composizione e la ricomposizione tengano conto non solo del condizionamento delle forze estreme, ma anche dei pericoli di una personalizzazione della politica in senso plebiscitario che è assolutamente contraria alla cultura laica, repubblicana e liberale. Permettetemi di esprimere questa opinione. Ho apprezzato l'estremo garbo di Casini. Siccome sono un po' più "scapricciato", esplicito quello che lui voleva dire quando parlava dei politici che vanno in due posti diversi e non dicono la stessa cosa. Si è riferito ad un uomo politico che è venuto qui e ha fatto un discorso; è andato al piano di sopra e ne ha fatto un altro abbastanza opposto, attaccando la scuola pubblica - Luciana - in maniera abbastanza significativa. Ma mi fermo perché anche io rispetto l'impostazione di civile dialogo, ma soprattutto il significato di questo vostro appuntamento. Se è vero ciò che mi pare di avere colto, rispetto a priori, caro Nucara, il vostro approdo verso una formazione repubblicana che, fatti salvi gli obblighi di lealtà in questa legislatura, sulla base del rapporto preso con gli elettori, cominci a costruire il punto di riferimento, che faccia parte di un progetto più grande a partire dalla prossima legislatura.
Io qui voglio sfiorare tre punti di merito. Il primo: L'approdo europeo. Io faccio parte della famiglia liberaldemocratica europea, oltre che per la storia personale, formalmente dal 1998. Io sogno un momento nel quale, come con te, come con l'amico La Malfa, la famiglia laico-repubblicana e liberale possa trovarsi unita sotto le bandiere della liberaldemocrazia europea. Cosa che Nucara ha sostenuto nella sua relazione e nelle tesi fondamentali del vostro Congresso. Questo è un punto qualificante, a mio avviso è molto importante. Sono le famiglie storiche in Europa. E credo che tuttavia, se c'è una crisi della famiglia socialista, ma soprattutto c'è una straordinaria affluenza da posizioni molto diverse rispetto a quella popolare, l'identità innovatrice di quella liberaldemocratica oggi spicca nel panorama politico europeo. Il secondo tema è quello della laicità, che non voglio assolutamente eludere perché credo che l'Italia abbia molto da imparare, più che dall'ultimo decennio, nel quale questa è diventata una bandiera per dividere e impedire le decisioni e le soluzioni; se posso dirlo molto sobriamente: noi dobbiamo rimpiangere l'epoca nella quale uomini politici, fosse Ugo La Malfa o Giovanni Spadolini, ma fossero i democristiani e i liberali dell'epoca, ebbene, costoro consentivano che - anche su temi eticamente sensibili - piuttosto che barricate inconcludenti si definissero valori, orizzonti riferimenti. Ma al momento giusto si votassero leggi che comportavano un avanzamento civile della Repubblica Italiana e il ragionevole compromesso fa varie posizioni, che ciascuno poteva esporre. Mentre oggi noi siamo davanti a barricate che lasciano tutti insoddisfatti perché non permettono la legiferazione ma soltanto lo sbandieramento di posizioni di principio inconcludenti, divisive e perfettamente inutili nel panorama della società italiana, della famiglia italiana, delle aspettative della cittadinanza italiana. Il tema lascia lo spazio all'espressione della libertà di coscienza ma credo sia un tema che oggi pone una sintesi più alta. Questo è il compito di una politica alta, intelligente, che abbia una capacità strategica. E credo che la pattuglia, il sale del repubblicanesimo politico italiano abbia storicamente avuto questo compito e questa capacità. E penso che abbia ancora oggi la capacità di portare avanti questo contenuto.
E poi il terzo ed ultimo schieramento politico: apprezzo la prospettiva rispetto a questi due poli che non c'e la fanno, non c'è l'hanno fatta nell'articolazione esagerata, che ha premiato le estreme. Non c'è l'hanno fatta nella stagione dove si immaginava la restrizione a un bipartito. Oggi noi andiamo verso un multipolarismo volto a creare le coalizioni di governo. Questo è il tema. Noi dobbiamo costruire in Italia un pluralismo politico che si delineerà con quattro, cinque, sei maggiori formazioni e coalizioni, un sistema che sia in grado di governare. Questo è il tema che si chiama - secondo alcuni - terzo polo. Come ricordava correttamente Casini, per noi deve essere potenzialmente il primo polo del Paese, dopo che la scomposizione delle attuali coalizioni porti la grande maggioranza degli italiani a convergere su coalizioni per il governo, in grado di affrontare realmente i temi dell'economia, della società, della competitività del paese, delle libertà economiche, della responsabilità sociale. Fare cioè quello che la maggioranza degli italiani vorrebbe si facesse, ma questa infernale contrapposizione - tutti con Berlusconi, tutti contro Berlusconi - ha impedito di fare questo in questi anni. Noi vorremmo uscire da questo maledetto ingorgo che non riguarda temi, valori e soluzioni. Gli italiani si aspettano che su questo disegno si formi una nuova coalizione. Questo è il punto d'incontro anche con una componente di destra repubblicana come quella rappresentata da Fini. Questo è l'incontro con una formazione di centro sinistra moderato e riformista quale è oggi Alleanza per l'Italia. Questa è l'occasione dell'incontro con una forza cattolica centrista e certamente democratica quale è l'UDC guidata da Casini. E a mio avviso anche l'opportunità di un incontro con la componente liberaldemocratica e repubblicana. Io spero ci siano le condizioni per ritrovare l'intesa anche con l'amico La Malfa: dunque con l'intera famiglia repubblicana, sotto la vostra responsabilità.
Questo dentro una direttrice di marcia che colga in Italia il fatto di un multipolarismo: l'estrema sinistra faccia il suo compito, il leghismo secessionista raccolga i suoi voti, ma l'unione delle forze per il governo sia fatta sulla base di una condivisione strategica della responsabilità su cosa andremo a dire agli italiani. Gli italiani hanno sempre dimostrato molta più saggezza, sanno che la situazione è difficile e sono pronti anche a sottoscrivere ricette in campo economico difficili purché si esca dalla fase degli annunci mirabolanti e delle promesse irrealizzabili e dallo scontro fra trincee che si sparano l'una contro l'altra con il solo risultato di lasciare macerie nella società e nel panorama del nostro Paese.
La mia conclusione è: i repubblicani sono una vicenda troppo radicata nella storia d'Italia per poter soccombere e scomparire dopo questa prova dei diciassette anni del bipolarismo italiano. Anche se, certo, queste fratture, queste divisioni hanno pesato e pesano. Io vedo personalmente, lo vedo dall'esterno, un fascio di luce che illumina un cammino possibile davanti a noi. Penso che, come mi hanno insegnato da ragazzo, essere il partito della repubblica significa essere il partito che difende l'equilibrio dei poteri, un rapporto moderno e civile fra le istituzioni: anche su questo noi ci ritroveremo, dopo questa stagione di sbornia, di semplificazione infelice. Noi siamo quelli che vogliono difendere un Parlamento forte, siamo quelli che vogliono difendere un governo forte in grado di decidere, siamo quelli che vogliono difendere l'autonomia e la terzietà delle istituzioni di garanzia, siamo quelli che vogliono difendere l'autonomia dell'ordine giudiziario, non la sua politicizzazione, ma certamente non vogliamo il suo assoggettamento al potere politico. Questa è la visione di una cultura liberale e democratica. E credo sia la grande forza della storia del repubblicanesimo italiano. Siamo un Paese nel quale persino il 150° dell'Unità d'Italia è diventato scontro in questa guerriglia alla quale accennavo. Tutti noi siamo consapevoli che non stiamo parlando delle vicende retoriche di un epoca lontana, che non fa più parte del tessuto connettivo di una Nazione moderna. Questa è una delle cose più tristi che si possano dire centocinquanta anni dopo la nascita dell'Unità, dopo un sessantennio complicato di Repubblica. Penso che noi dobbiamo ricordarci che se l'Italia oggi è unita è perché le parole di un uomo come Carlo Cattaneo ancora oggi risuonano. Le parole per cui la libertà è una "pianta di molte radici. Libertà è Repubblica, Repubblica è pluralità ossia federazione". Parole che cito per dire quanto sia assurdo deprezzare i valori fondanti della nostra unità e del senso del cammino unitario che ha portato prima l'Unità e poi la Repubblica. Questa è la modernità assoluta del Cattaneo, che dice: i "destini delle Nazioni si sono complicati". Sembra di ascoltare parole di stamattina, guardando alle vicende del Mediterraneo. "Le Regioni, le guerre, le finanze, le letture, le mode, le carte pubbliche, le città industri hanno fatto di tutta Europa un solo vortice che conduce agli spiriti con la sua attrazione". "Non vi è ormai popolo - scrive Cattaneo alla vigilia del 1850 - che abbia in sé solo la ragione del suo moto e della sua vita civile. E si possa dire libero signore delle sue opinioni e nemmeno delle sue forme di cui l'opinione si veste. E mal per lui, per questo popolo, se non lo fosse perché in pochi anni si troverebbe fantoccio e mummia".
Ecco la modernità del pensiero di Carlo Cattaneo, l'idea di un federalismo che unisce e non il ridicolo del federalismo immaginato per spezzare e dividere. L'idea repubblicana che anima la laicità autentica della nostra Repubblica è oggi più attuale che centocinquanta anni fa. Noi ci ritroviamo oggi sul cammino di questi padri, con il pluralismo che i nostri padri ci chiedevano di rispettare. Vogliamo costruire una nuova aggregazione politica in cui il meglio, e anche gli errori, le miserie e le nobiltà di queste tradizioni si incontrino, non per guardar al passato ma per trarre da queste radici la forza per guidare il difficile cammino dell'Italia di domani. Vi ringrazio.