"Non ho messo la schiera dei fedeli al Governo, sono un talent scout"
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di Alessandro De Angelis
Pronto, Rutelli? Francesco Rutelli è troppo esperto di politica, troppo di mondo per non immaginare la prima domanda: “Guardi, ho appena scritto una cosa su facebook: ‘Ottima la scelta di Gentiloni. E' competente, colto, capace. Ed è un uomo politico! Felice per lui, per gli Esteri e per la nostra amicizia”. Perfetto. Ma Rutelli è troppo esperto di politica, troppo di mondo per non immaginare pure la seconda domanda: “Non mi vorrà mica chiedere (sorride, ndr) se questo è Er Governo Rutelli”. Effettivamente l’intenzione era questa. Perché Gentiloni è solo l’ultimo. C’è molta Margherita in questo governo, come scrisse anche il Foglio qualche tempo fa. A partire da Renzi. E non sono petali qualunque, ci sono parecchi petali rutelliani, a partire dal suo bravo portavoce, Filippo Sensi ora portavoce e spin doctor del governo: “Capisco che è divertente questa storia der governo Rutelli, ma non è il punto. Perché la mia non è covata”.
Covata. Parte da qui la conversazione. Perché la “covata” è un concetto ideologico, o comunque di appartenenza a un gruppo. Mentre l’ex sindaco di Roma, fondatore della Margherita, ex ministro, ed (ex) scopritore di Renzi rivendica innanzitutto un metodo post ideologico. Più talent scout che capocorrente. Anche trasversale: Marcello Fiori, braccio destro di Bertolaso ai tempi del Giubileo è la figura cui Berlusconi ha chiesto di rifondare i club; lo stesso Bertolaso è una scoperta rutelliana: “Potremmo anche uscire – prosegue Rutelli - dall’ambito politico. Nominai Giorgio Ferrara che salvò il Festival di Spoleto, la cui professionalità non è mai stata messa in discussione da nessuno. Lo stesso vale per Baratta alla Biennale, che sta ancora lì. C’è un approccio di fondo”.
Quale?
Io ho una formazione “delivering oriented” mirata cioè a ottenere risultati. È sempre stato così nella scelta dei miei collaboratori: nel partito radicale, nella Margherita, in Campidoglio, prima e fondamentale esperienze di governo. La differenza rispetto alla “covata” è che la mia scuola non è una scuola ideologica.
È già post ideologica?
In parte sì. Ma c’è di più. Non nasco da una filiera comunista o anche democristiana. Nasco nel partito politico italiano che è formato su campagne, obiettivi risultati. Aborto, divorzio, fame nel mondo. È stato un partito orientato a risultati, quindi ovunque sono stato non ho portato la mia consorteria, come chi veniva dalla Fgci e dall’azione cattolica.
È per questo che chiama Bertolaso al Giubileo, ad esempio.
Esatto. Il Giubileo lo diedi a lui. In verità poi si è un po’ montato la testa, ma allora fece un lavoro eccellente. Il servizio pubblico ha bisogno di persone perbene, competenti, fresche, capaci di ottenere risultati. Potrei fare mille esempi. Chicco Testa, militante della Lega ambiente, persona con quei requisiti lo misi io a guidare l’Acea, sfida non banale per un ambientalista. Come vede non ho messo la filiera dei fedeli, indipendentemente dalla mia carriera politica.
Tra le tante scoperte c’è anche Renzi.
Certo, nel 2008 lo portai a Washington in un viaggio istituzionale per presentargli Hillary Clinton. Ho capito che poteva dare un grande contributo, l’ho sostenuto, ho scommesso su di lui.
Però lei non sta nel Pd.
Come non mi trovavo nel Pd post Pci non mi trovo in un partito personale.
Populista?
Personale. Un partito rigorosamente basato sul leader. Guardi, sulla politica Renzi dà delle piste a tutti. È giusta la ricerca del consenso per fare le riforme, è su questo che ha piegato Grillo – vero risultato politico di Matteo – ed è giusto l’approccio della manovra che coglie l’eccezionalità della situazione…
Ma?
Ma l’interrogativo di fondo è che in questo paese così complicato e disarticolato, con personale pubblico scoraggiato, classe dirigente in ripiego, devi essere più inclusivo. Non sto parlando di mediazioni o compromesso, no: parlo di sintesi di visioni con l’obiettivo di far sentire tutti in campo anziché spettatori in tribuna. È una questione di metodo: deve stare attento a non trasformare la politica del governo in una partita di calcio con metà dello stadio che applaude, gli altri che osservano e una curva che protesta.
Serve più inclusione.
In campo economico bisogna mettere in campo spinte condivise nella società. Sennò Renzi è ultra delivering in politica ma le famiglie tengono i soldi in banca, le imprese non investono. E l’approccio solitario con il popolo che ti spinge funziona ma alla lunga ha molti rischi.