FRANCESCO RUTELLI

Intervista al Secolo d'Italia: «Ma questo polo è terzo solo in ordine di partenza...»

Secondo il "cofondatore", questo progetto dovrà declinare un nuovo alfabeto

È il "cofondatore" più difficile - per chi resta attaccato agli stereotipi della prima e seconda Repubblica - da inserire nel mosaico del Polo della Nazione. Ma, forse proprio per questo, Francesco Rutelli è quello che può "dare la chiave" del processo che si è innescato il 15 dicembre. Il suo incontro con Gianfranco Fini è apparentemente paradossale: nel 1993 fu lui l'avversario che l'allora leader del Msi sfidò nella corsa al Campidoglio, e l'endorsement pro-Fini di Silvio Berlusconi in quella partita è da tutti considerato il prolologo della discesa in campo del Cavaliere e dell'avventura del Polo della Libertà. A diciassette anni di distanza il gioco si è completamente rovesciato. E la prima domanda è ovvia...

Senatore Rutelli, lei, Fini e Casini insieme. Come è potuto succedere?
Non si può spiegare questo decisivo passaggio politico senza avere presente altro l'avvitamento della traiettoria di Berlusconi, che ha finito per unire suoi ex alleati con suoi ex avversari. Ma io inviterei a guardare, piuttosto che al passato, alla sfida che si apre per il futuro, la sfida affascinante e indispensabile di dare delle risposte all'Italia e trasformare la situazione di crisi profonda e multilivello del Paese in terreno di proposta politica.

In questo futuro destra e sinistra esisteranno ancora?
È impossibile riproporre le differenze tra destra e sinistra come se fossimo nel XX secolo, il punto è questo. È evidente che noi abbiamo idee tramandate ed eredità molto sanguigne e concrete, che hanno marcato nettamente la formazione di molte generazioni. Ma riproporre questa contrapposizione sarebbe come collocarsi alla guardia delle frontiere del secolo scorso, è un inganno che ci porta fuori strada, non è in grado di guidarci nelle sfide di questi giorni.

Eppure, soprattutto in questa fase, la contrapposizione destra-sinistra viene evocata quasi ossessivamente dal Pdl, che addirittura definisce se stesso come il partito che raccoglie "tutte le forze alternative alla sinistra"...
C'è un test molto significativo da fare. Proviamo a proporre questo schema a un diciottenne di oggi: la legalità è di destra o di sinistra? E lo spirito della legge? La promozione della cultura? Gli investimenti su innovazione, ricerca, qualità del lavoro? Le ansie di un diciottenne di oggi sono classificabili dentro l'universo del XX secolo? È evidente di no. Uno degli aspetti veramente importanti di questo nuovo Polo è proprio riuscire a declinare un nuovo alfabeto, una serie di risposte a problemi concreti che dimostrano come chi è stato convintamente di destra o un democratico liberale come me - appassionato di temi ambientali e di diritti civili - ha oggi la possibilità affascinante di costruire un alfabeto nuovo, anche partendo dal superamento del proprio.

L'altra dicotomia che viene proposta costantemente è quella fra anima cattolica e anima laica. Nel nuovo Polo potranno avere problemi di convivenza?
Sì, se ideologizziamo la questione della laicità. No, se ne facciamo la chiave di lettura per un nuovo umanesimo contemporaneo. Faccio un esempio: il governo di cui ha fatto parte è andato a sbattere drammaticamente su questioni come i diritti delle persone omosessuali che erano state trasformate da doverosa risposta a problemi reali in piattaforma ideologica. Cioè, quasi che si dovesse dire: "noi come Zapatero". Si è trattato di una visione purtroppo solo politica, declinata in modo del tutto intellettuale e alla fine improduttivo.

E invece, ora da dove ripartire?
Su questi temi sarebbe abbastanza semplice fare alcune riforme e alcune scelte preziose per la convivenza civile senza in alcun modo ferire o colpire i valori cristiani e i convincimenti dei cattolici italiani. Credo che, anzi, proprio su questo si misurerà una sfida che faccia fare a tutta la politica italiana e al dibattito della società un enorme progresso. Vedo come una straordinaria occasione proprio il fatto che si trovino assieme in questa vicenda laici credenti, laici non credenti, cattolici molto interni al mondo associativo, persone che vengono da altre esperienze.

C'è chi sostiene l'esatto contrario. E cioè che questa compresenza di forze politiche con storie e identità molto diverse tra loro rende il progetto poco credibile o troppo ambizioso.
Lo ammetto, qualche rischio c'è. Specialmente in un Paese in cui le fortune politiche si sono costruite in tutti questi anni sulle fratture e sulle differenze. Scrive il sociologo Baumann che nella società attuale le identità sono perpetrate attraverso il tracciamento dei confini. In Italia va esattamente così: si tracciano confini nei confronti degli avversari e si regola la propria proposta di conseguenza. Dobbiamo avere il coraggio e l'energia di invertire questo schema, guardando al Paese e non alle alchimie della politica. A me oggi sono evidenti convergenze programmatiche e politiche, pur nella diversità di provenienze. Per esempio, gli alfabeti del discorso di Fini a Mirabello e quello dell'intervento che io in contemporanea stavo pronuciando a Labro, concludendo la festa di Allenza per l'Italia, erano per il 90 per cento addirittura sovrapponibili.

Ma a chi deve guardare, secondo lei, questo nuovo Nuovo Polo? Ai delusi del centrodestra? Del centrosinistra? O semplicemente non porsi il problema e giocare a tutto campo?
Le maggiori potenzialità di consenso per il nuovo Polo che nasce le vedo nel 40 per cento e più di elettori che tutti i sondaggi dice di non sapere se andrà a votare e per chi. Il vero obiettivo sarà proprio conquistare questi dubbiosi.

È il miraggio un po' di tutti. L'opposizione ci prova da anni, ma non ci è mai riuscita. Perché dovrebbe farcela un nuovo soggetto? E soprattutto, come?
Dobbiamo strutturare la nostra identità su un progetto e non su una battaglia, e soprattutto non sulla battaglia anti-Berlusconi. Questa è la tentazione da respingere, perché sarebbe indiscutibilmente limitativa e insufficiente. Il nuovo Polo respinge il populismo e lo svilimento delle istituzioni costituzionali. È un soggetto liberale, sposa il modello europeo dell'economia sociale di mercato e i principi di una società competitiva, dinamica, libera, aperta. È pluralistico, laico e rispettoso dei valori religiosi. È nazionale: l'Italia delle autonomie non è l'Italia delle fratture territoriali, insostenibili nel mondo globalizzato. Il nuovo Polo è riformatore. Propone agli italiani le decisioni necessarie per il ritorno alla crescita, per proseguire nell'integrazione europea facendo del "vincolo esterno" anche un'opportunità.

Presentando il progetto, si è detto anche che «sancirà la fine delle risse». Progetto ambizioso...
Si può fare un'opposizione senza bava alla bocca e in modo non dispettoso. Non con l'intento, insomma, di fare lo sgambetto alla maggioranza, ma semmai con quello di incalzarla sulle riforme, perché il vero buco nero di questi sedici anni è proprio la resistenza alla realizzazione di riforme incisive. E non mi riferisco solo alla fase berlusconiana. Nei due anni in cui sono stato vicepremier col centrosinistra, tutte le riforme incisive che abbiamo tentato di proporre si sono andate a infrangere sulla resistenza dell'ala sinistra della coalizione. Allo stesso modo, la rivoluzione liberale promessa da Berlusconi è stata clamorosamente bloccata dalla Lega.

Un leghista le direbbe che il federalismo è la più grande delle riforme, e quella si sta facendo. O no?
Al momento ci troviamo in un'impostazione federalista solo a parole, dove quando si tratta di tagliare i costi o la prolificazione di enti e poteri non è consentito. Altro che rivoluzione liberale... La verità è che in questa Seconda Repubblica la sinistra ha impedito le riforme che permettano di avere un'economia competitiva in Europa, e il leghismo, con la bardatura corporativa dominata dai suoi interessi, ha frammentato, diviso e in definitiva bloccato il nostro Paese. Su questo va incalzata la maggioranza. Senza posizioni pregiudiziali sui temi rispetto ai quali si registra una convergenza utile e si coglie la presenza di spirito riformista.

Massimo Cacciari ha invitato a dare vita a una formazione «non centrista ma centrale». Condivide?
Assolutamente sì, oggi la parola centrista non vuol dire niente. E centrale il nuovo Polo lo è già diventato. Per capirlo basta guardare le reazioni aggressive che suscitato nell'attuale polo berlusconiano-leghista. È evidente che in Italia è cominciata un'altra storia.

La nascita di questo Nuovo Polo sancisce il fallimento del bipolarismo?
So che questo è un tema molto sofferto in casa Fli, perché si è sempre considerato lo schema bipolare come un fondamentale elemento di fuoriuscita dai meccanismi della Prima Repubblica, cosa a cui ho creduto anch'io. Ma il tentativo di formare coalizioni stabili è franato col centrosinistra in due anni e col centrodestra in due anni e pochi mesi. E nel centrodestra, sottolineo, è franato nonostante una larga maggioranza, una forte leadership, poteri economici e mediatici senza precedenti. Le due coalizioni hanno condotto una contrapposizione esasperata e distruttiva; sono state condizionate dalle forze estreme; si sono dimostrate, ciascuna, incoerenti e incapaci di ottenere risultati adeguati alle grandi difficoltà economiche, sociali, della competitività e coesione nazionale. Ora siamo prossimi al big bang. L'indebolimento dei soggetti politici della Seconda Repubblica è sotto gli occhi di tutti. Bisogna avere il coraggio del nuovo.

Ma il nuovo, si obietta non senza fondamento, può nascere solo da una scelta degli elettori. Insomma, da una nuova tornata elettorale.
È vero, e al voto dobbiamo prepararci vivendo il doppio scenario che si prospetta in misura molto pragmatica. Se il governo va avanti, deve fare le riforme, affrontare i problemi e noi dovremo definire il nuovo Polo con un'opposizione densa di proposte alternative; se il governo non ce la fa a proseguire, dovremo avere il coraggio, da subito, di candidarci per diventare "primo polo". Perché siamo terzi, e dobbiamo ribadirlo sempre, soltanto nell'ordine di partenza...

di Cecilia Moretti Secolo d'Italia, 19 dicembre 2010

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