Intervista al Riformista
Francesco Rutelli, sarà deluso dalla scelta di Fini di non uscire dal Pdl.
Al contrario, le sue parole confermano che la breve stagione dell'illusione bipartitica è finita.
Veramente la stagione dei due grandi partiti pareva finita in soffitta già da un po' prima di Fini...
Sì, ma con Fini che dichiara sono in minoranza nel Pdl e voglio testimoniare opinioni diverse" si va oltre quella constatazione, si dimostra che la natura del nostro bipolarismo si esaurisce nel fatto che un partito, il Pd, non è mai nato e l'altro, il Pdl, è nato fin troppo, nel senso che è approdato immediatamente non al modello di una destra conservatrice o di centrodestra sociale, alla Merkel, ma a un modello personale che non consente di integrare opinioni diverse.
Mentre gli avversari del Cavaliere si esercitano sul fantomatico "dopo", il ventennio berlusconiano rischia di andare verso il trentennio.
Anche di più, se ha ragione Don Verzè sugli orizzonti di vita del premier verso i 120 anni. Scherzi a parte, nella parabola di Berlusconi c'è davvero l'ascesa e il crac del bipolarismo. Ha de-democristianizzato l'Italia, ha seppellito l'arte della mediazione, che era la forza della Dc, e ha fatto dimenticare quello che è stato per 50 anni il peccato di Lucifero, per cui se Fanfani voleva il doppio incarico veniva cacciato, e così anche De Mita. Lui invece somma tutto. Il bipolarismo con Berlusconi è diventato il bipolarismo di Berlusconi. E in un modello del genere un leader autorevole come Fini o è assorbito o è escluso.
Dunque è escluso. Ha rivinto Berlusconi.
Sicuramente Berlusconi conferma la sua forza. E conferma pure che è diventato un notevole leader politico. Curioso destino il suo. È partito con l'immagine di impolitico e di uomo del fare. Ha finito col rovesciare le parti. Non è riuscito a mantenere nessuna delle promesse che aveva fatto al paese. Però non sottovaluterei due elementi positivi, ora che Fini può esprimersi con maggiore libertà: primo, renderà più difficile una deriva plebiscitaria come quella insita nel progetto presidenzialista. Secondo, potrà arginare meglio la deriva leghista. Non dimentichiamo che c'è in ballo l'attuazione del federalismo, tutta da verificare.
Dalla scelta di Fini può scaturire un'altra considerazione, per lei meno rassicurante: non c'è spazio per fare politica fuori dai poli, se non in condizioni di estrema minoranza.
Alt. Non c'è adesso. Abbiamo però tre anni di tempo prima di tornare al voto. Un investimento a medio termine, abbastanza per strutturare un'offerta politica alternativa.
"Abbiamo" chi? Pensa a Fini? O al Montezemolo uscito da Fiat?
Non è sommando nomenclature o nomi illustri che si conclude qualcosa. Né inseguendo un mitologico spazio al centro. Usciamo da questa concezione topografica della politica. Quello che occorre è un terzo polo diverso dalla sinistra e dalla destra di cui azionista di maggioranza è Bossi. Una terza forza che si candidi a diventare la prima. Con contenuti, progetti, proposte. Con la riforma delle regole e le riforme economiche, che oggi significano soprattutto porre le condizioni per tornare alla crescita. Di questo bisogna parlare, non di astratti dibattiti sull'autocollocazione politica.
Davvero nessuna speranza sulla scesa in campo di Montezemolo?
Resto a quello che dice: per ora non ha intenzione di farlo. Senza l'impegno in Fiat sarà più libero di dare il suo contributo al dibattito e al miglioramento della società.
Forse, più banalmente, l'alternativa a Berlusconi continua a passare dal Pd.
Un partito che riunisce i suoi organismi e davanti alla possibilità di elezioni anticipate per problemi nella maggioranza dice "per carità non si voti"? Credo sia un unico nella storia delle opposizioni. La verità è che il Pd è un partito di sinistra riformista condizionato in modo decisivo da un forte partito giustizialista, il quale è a sua volta condizionato da una corrente ipergiustizialista. Ma ciò che è davvero cambiato a sinistra è la sfiducia verso la possibilità di cambiare la società con le riforme, che è stata la grande missione della sinistra nel dopoguerra.
Fini non esce. Montezemolo nicchia. Non le resta che Casini per reinventarsi un terza via.
Con Casini, con chi sta a disagio nel centrodestra e con i molti del Pd che non si riconoscono più in un partito che ha perso qualsiasi vocazione maggioritaria e con quegli esponenti del territorio che non abbiano fiato corto, ma respiro nazionale. Con l'Udc siamo su un cammino molto vicino. Alle ultime regionali nelle quattro regioni dove l'Alleanza per l'Italia si è presentata la somma dei due partiti supera il 10 per cento.C'è una potenzialità perché accada anche da noi qualcosa di simile all'Inghilterra dove il boom di Nick Clegg e dei liberal-democratici dimostra che c'è spazio per un'offerta riformatrice fondata sulle idee. E che il terzo può diventare il primo...
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