Intervista aI Sole 24 Ore: «Il bipolarismo è fallito: aspettiamo Fini per un nuovo schieramento»
«Io ingenuo su Fini? Mi chiedo se non sia ingenuo lui. Pensa di continuare a lungo ad essere una delle più amate icone della sinistra e puntare ad ereditare la guida del centro destra? A mettere in campo una rottura profonda, direi quotidiana, con il premier e costruire la futura leadership del Pdl? Da ex coautore della legge Bossi-Fini, a dissociarsi quotidianamente da Bossi, a partire dai temi dell'immigrazione, restando tutt'uno con la Lega?». Francesco Rutelli prepara i documenti della kermesse di Parma per il lancio di Alleanza per l'Italia, la nuova formazione centrista che lo vede protagonista con Bruno Tabacci, Lorenzo Dellai, Linda Lanzillotta, Andrea Mondello, Wilma Mazzocco e altri dirigenti Pd e rappresentanti della società civile.
Il leader di quello che vorrebbe essere il Kadima italiano - il partito israeliano oggi maggioritario nato dalla fusione di parti dei gruppi della destra e della sinistra - rilancia la strategia dell'attenzione verso l'ex leader di An: «L'approdo verso un nuovo schieramento, dopo questa "guerra dei 15 anni", è praticamente naturale. Io non dico nulla di più. Aspetto».
I sondaggi - ultimo quello Ipsos Il Sole 24 Ore - danno un rafforzamento del bipolarismo. Gli italiani non sembrano pensare a terze forze.
«Sono per la democrazia dell'alternanza e noi dell'Allenza per l'Italia non immaginiamo un centro che vada una volta di qua e una volta di là. Ma il fallimento di questo bipolarismo italiano è evidente, perché è dominato dalle estreme: Di Pietro nel centro sinistra con la nevrosi giustizialista che vorrebbe far cadere il premier nelle aule di giustizia, la Lega nel centro destra con proposte populiste e xenofobe. Il nostro scopo è riportare al centro gli equilibri degli schieramenti e cambiare l'agenda delle priorità».
E se Di Pietro vi dice: sono con voi?
«Il problema è che Di Pietro sta alimentando un percorso suicida. Accreditare la possibilità di far cadere Berlusconi nelle aule dei tribunali é l'estremizzazione di un cammino che in 15 anni si è rivelato la migliore assicurazione sulla vita politica del premier. Se oggi di nuovo il Financial Times chiede a Berlusconi di dimettersi e identifica in Fini il potenziale sostituto vuol dire che l'opposizione non è in grado di presentarsi come forza di governo alternativo. E Di Pietro è parte del problema, non della soluzione. Lui pensa solo a massimizzare gli interessi di un piccolo gruppo - si è visto con la richiesta irresponsabile di ritiro immediato dall'Afganistan - mentre la vera funzione dell'opposizione è di creare un'alternativa credibile».
Chi sono gli alleati naturali del suo gruppo: stanno a sinistra o a destra?
«Siamo all'inizio, Alleanza per l'Italia è una start up, siamo nati per unire altre forze deluse dal bipolarismo inefficace di cui è vittima il paese. Innanzitutto c'è una forte consonanza con l'Udc di Pier Ferdinando Casini. Per riuscire, occorre formare la nuova agenda per il paese. Cominceremo da Parma».
Sempre più terza forza, ma i sondaggi parlano chiaro. Non c'è spazio.
«I sondaggi di oggi riflettono le acque visibili, ma non colgono il maremoto imminente. C'è un grandissimo spazio per una diversa offerta politica: lo vediamo chiaramente sui territori. Anche il successo della Lega, a suo modo, riflette questi bisogni. Il 35-40% di italiani che non si dichiara nei sondaggi viene sempre classificato come all'interno dello schema bipolare esistente. Ma non è così: il bacino potenziale della nostra iniziativa guarda a un'aggregazione politica diversa e più moderna».
Nostalgie, recriminazioni, rimpianti per il Pd?
«Niente di tutto questo. La constatazione, con dispiacere, che il partito è uscito dalle basi fondanti che ci avevano indotto a sciogliere la Margherita. Pensavamo a un partito che elaborasse una cultura nuova, un pensiero originale non più rivolto agli schemi del '900. Invece vedere oggi i leader del Pd sfilare a Praga, al congresso dei socialisti europei, dimostra che si è tornati indietro. Questo non consentirà di mantenere all'interno dei democratici molti di coloro che si ritrovano nella cultura liberale o cattolica. Al loro posto stanno già tornando molti vecchi transfughi della sinistra. Niente di male: porta chiarezza».
Qual è la vostra agenda di politica economica?
«Nasce dalla lettura di tre emergenze strategiche: la bassissima crescita dell'Italia; la sfiducia delle nuove generazioni sul futuro; l'inverno demografico e i problemi legati all'immigrazione. Innanzitutto bisogna ricostituire le base per la crescita del paese, oggi bloccato dal debito pubblico e dal peso di 76 miliardi all'anno di interessi: nei fatti, è impedita ogni forma di investimento».
Ma questa è anche l'analisi di Tremonti. Voi in che cosa differite?
«È vero, è anche l'analisi di Tremonti, ma il ministro poi non fa nulla. E' praticamente piantato. Tra l'altro anche la Finanziaria - dove lo stesso Fini dovrebbe esercitare un ruolo più incisivo rispetto a un dibattito vuoto, surreale - si rivela ora una norma corretta con piccole mance senza alcuna misura di lunga gittata e strutturale. Insomma, una manovra senza coraggio strategico».
Torniamo alle ricette per l'economia, allora come riparte l'Italia?
«Nel rapporto imprese-lavoro: ridurre le tasse sul lavoro e premiare chi assume a tempo indeterminato. Per le piccole imprese, occorre che la Pubblica amministrazione organizzi la domanda pubblica in modo da favorirle, lo hanno detto Lanzillotta e Calearo. Vanno ripensati gli studi di settore, che oggi penalizzano chi, facendo investimenti, ha meno utili. E, siccome la crisi produttiva è fortemente legata alla crisi delle esportazioni, non sarà il momento di rivoluzionare la promozione sull'estero? ICE, ENIT, Camere di Commercio, SACE, addetti commerciali continuano a pestarsi i piedi e disperdere risorse».
E il fisco?
«I margini sono stretti, lo sappiamo. Io punterei sulle tasse sul lavoro e una fiscalità che sostenga le imprese. Invece, per finanziare la sanità, stanno per arrivare aggravi su IRPEF e IRAP. Per questo, una nostra proposta forte riguarderà la gestione della sanità pubblica, che galoppa verso i 110 miliardi all'anno. Come ricorda Tabacci, c'è tuttora un'insostenibile intermediazione politica. Per fermare gli sprechi, bisogna introdurre da subito i criteri di spesa standard senza aspettare la lunghissima fase attuativa del federalismo fiscale».
La riforma pensioni?
«Non ho problema a dire che va fatta. Partendo da uno scambio: età per le donne- sostegni per maternità e famiglia. Anche se penso a un sistema flessibile, come ha ricordato Mario Draghi, che consenta ai settori dove è necessario ravvicinare il turnover di farlo; e che invece lascia a chi lo voglia la possibilità di continuare a lavorare nei settori dove ciò sia utile».