FRANCESCO RUTELLI

Convegno "150 anni della nostra Unità: viva l'Italia"

Il discorso di Francesco Rutelli

Il centocinquantenario dell'Unità è il compleanno della Nazione Italiana. Coincide con un passaggio cruciale per la vita della Repubblica di oggi, gentili amiche ed amici del Gruppo dei Liberaldemocratici.
È un appuntamento, vi chiedo, con l'Italia che cresce - dall'atto di nascita del 1861, al cinquantenario del 1911 in Roma Capitale, al centenario del 1961, in pieno boom economico - oppure stiamo pericolosamente andando all'indietro, da un ventennio ad oggi?
Consentitemi una nota personale. Mi è capitato di scrivere l'introduzione ad un volume sulla "Lettera agli onesti di tutti i partiti" di Felice Cavallotti. Ho ripercorso la sua vita coraggiosa di patriota garibaldino, poi leader di quella che si chiamava l'Estrema, ovvero la minoranza radicale - democratica nel Parlamento unitario. Negli stessi giorni, ho preparato un intervento al Senato di omaggio a Francesco Cossiga, e ho rintracciato le sue radici di cattolico - liberale anche nell'esperienza di Antonio Rosmini. Ho avuto modo così di riflettere su un punto: quelle due minoranze, che furono poste ai margini dal predominio, rispettivamente, di Crispi e di Cavour, sono state però determinanti per rendere e far restare l'Italia unita, e anche per il consolidamento delle sue istituzioni.Perché, come ha ricordato il Prof. Belardinelli, tutte le diverse correnti della politica risorgimentale e unitaria condividevano - pur avendo sostanziali differenze, ed anche violente divergenze - il senso del cammino della Patria. Anche la Questione romana; anche i rapporti travagliati con casa Savoia; anche le distanze enormi che esistevano tra le realtà culturali e sociali di Nord e Sud e tra i territori italiani non ponevano in discussione quella direzione di marcia, nazionale e unitaria.

 

E vi hanno contribuito, ciascuno a suo modo, tutti i dirigenti della stagione fondativa dell'Italia moderna. Anche quelli più radicalmente avversari tra loro.

Perché, oggi, in Italia questo ventennio di bipolarismo - cui tutti, qui, abbiamo partecipato - appare invece a molti come un ventennio di indebolimento, se non di arretramento, del nostro faticoso processo unitario? Non passa settimana senza che il Presidente della Repubblica - cui va il nostro saluto e riconoscimento - richiami i rischi delle fratture; dell'indifferenza; del degrado dei valori dell'unità nazionale. A noi, politici, parte in causa dal 1993 ad oggi, tocca di esprimerci su cosa sia stato sbagliato. E su cosa adesso occorra fare.

La mia opinione è che l'Italia, che è stata squassata da una triplice devoluzione di poteri, si sia affidata ad un'architettura politica che avevamo immaginato, sperato in grado di governare questi imponenti cambiamenti, ma che invece ha fornito un contributo pessimo.

Le tre devoluzioni, praticamente in contemporanea, hanno riguardato il trasferimento di poteri alle istituzioni comunitarie europee (ai cui momenti più significativi, dal Trattato di Maastricht all'ingresso nell'Euro, l'Italia ha partecipato accogliendoli come un positivo "vincolo esterno"); il massiccio trasferimento di poteri di governo e di risorse alle regioni; il vortice che ha trasferito e quasi smaterializzato poteri un tempo nazionali che si chiama globalizzazione: finanziaria, economica, del mercato del lavoro, delle comunicazioni.

Durante questi processi, molti di noi pensavano che l'Italia avesse imboccato la strada giusta; la strada della maturità repubblicana. Dopo il crollo del Muro e la scomparsa della tragica esperienza del comunismo, è sembrato che potesse liberare la competizione democratica in Italia dalle catene, già arrugginite, della Guerra Fredda.

Ma il bipolarismo italiano, purtroppo, non è stato la stagione dell'oro.

Non abbiamo visto crescere un'alternanza tra coalizioni coerenti ed efficaci; non abbiamo visto consolidarsi il ruolo di istituzioni moderne, bene organizzate, garanzia di correttezza nel libero gioco politico.

Non abbiamo visto nascere nuovi, grandi, solidi partiti, ma affacciarsi una miriade di piccoli partiti e presentarsi e rapidamente fallire partiti grossi, ma senza progetti politici alti, né identità degne di questo nome.

Ecco: l'identità. E' il problema su cui dovremo interrogarci a proposito dell'Italia che sta per compiere 150 anni. L'identità di una Nazione, quando è viva, è una forza invisibile ma potentissima.

Da tutte le rilevazioni dell'opinione pubblica emerge che gli italiani hanno le idee molto chiare su quali cose rappresentino meglio l'identità nazionale.

La bandiera tricolore e l'Inno di Mameli. Ma oggi sta prosperando un partito che ha costruito la sua identità politica proprio sulla denigrazione della bandiera e dell'inno nazionale.

Il patrimonio culturale, storico ed artistico. Ma oggi si sta procedendo allo smantellamento delle capacità di tutelarlo e valorizzarlo. Nei fatti, si rischia il suo progressivo smantellamento fisico, visti i tagli irresponsabili che il Ministro dei Beni Culturali non si dimostra capace di impedire.

Le virtù imprenditoriali, dell'ingegno e dei talenti che si traducono nelle eccezionali produzioni del Made in Italy. Ma oggi le si sta abbandonando al loro destino, invece di incentivarle e supportarle nelle sfide sempre più difficili della competizione internazionale.

Le virtù civili, che riescono sempre ad affiorare, anche nei momenti più bui della nostra avventura nazionale: il terrorismo, le aggressioni delle mafie, le calamità naturali. Ma, anche qui, sembra che ci sia una parte della politica che non riesce a difendere e a rinvigorire la legalità; una serena, non ideologica, né fanatica, né settaria promozione della legalità. Che è il terreno della cultura liberale, del rispetto della legge, della responsabilità civica.

Si incontrano qui uomini politici che sono stati parte di schieramenti diversi, in questi vent'anni.

Eppure, in questo momento così critico della vita nazionale, abbiamo dei punti in comune molto importanti. Sempre più importanti.

Vogliamo cercare di dare alla nostra Italia un'identità del XXI secolo che non sia infedele rispetto alla sua storia.

Vogliamo riconoscere l'identità degli italiani a partire dalle loro testimonianze migliori; quelle degli eroi civili, ma assieme a quelle di chi lavora onestamente; di chi si sacrifica per migliorarsi e migliorare la condizione propria, della propria famiglia, della propria impresa.

Perché l'identità positiva di un Paese è innanzitutto un fenomeno collettivo.

Persone, individui, forti della loro libertà, condividono un progetto e formano il destino di una Nazione.

Noi rivendichiamo la difesa dei simboli dell'unità nazionale, tanto più di fronte agli imbecilli che li denigrano. E non crediate che in Europa, a Nord delle Alpi, non ci sia chi immagina  di profittare di questo velenoso disegno di divisione per partecipare ad una vera e propria spartizione dell'Italia!

Rivendichiamo il valore del nostro patrimonio culturale e della creatività contemporanea, tanto più di fronte ai mediocri che se lo dimenticano.

Vogliamo affidare il ritorno della crescita economica al talento di impresa e alla capacità di lavoro degli Italiani. Non certo all'assistenzialismo, né al dirigismo conservatore.

Vogliamo promuovere la ricchezza dei territori attraverso la loro autonomia. Li vogliamo responsabilizzare, e anche per questo vogliamo un Sud più sano ed efficiente. Ma senza la demagogia di chi sostiene che "federare" significa dividere. Federare significa unire. E i nostri patrioti non hanno fatto l'Italia unita perché arrivasse qualcuno a dividerla, centocinquanta anni dopo.

Noi pensiamo che in politica sia tempo di unire coloro che erano lontani ancora fino a poco tempo fa, e vogliono lasciarsi dietro le spalle quelle divisioni del passato. Piuttosto, vogliono unirsi su visioni del futuro.

Perché sono gli Italiani ad essere stanchi di una contrapposizione che ci ha portati fuori strada, che ha alimentato populismo, xenofobia, demagogia inconcludente. Gli Italiani vogliono che siano costruite per l'economia, il lavoro, le imprese, la famiglia, le soluzioni difficili e necessarie. Non vogliono perdere l'orgoglio, e il gusto, di riconoscersi nelle capacità, nella bellezza, nella forza civile dell'Italia migliore di questi 150 anni.

Per questo siamo qui. Per questo siamo insieme.

Roma, 13 novembre 2010

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