Intervista al Corriere della Sera: «Berlusconi rischia ad andare in Libia e sbaglia a mandare le Frecce»
«Attenzione a non scostarsi dai pilastri euro-atlantici»
Francesco Rutelli, autorevole esponente del Pd, questa volta parla da presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la Sicurezza. In altre parole, il controllo sui servizi. E, dal suo osservatorio, dice che Silvio Berlusconi «rischia» politicamente accettando di andare domenica prossima a Tripoli. Ma, soprattutto, «sbaglia» ad inviare le Frecce Tricolori per i 40 anni di presa del potere da parte di Gheddafi.
Come giudica la scelta del premier di recarsi a Tripoli per la festa di amicizia italo-libica?
«L'Italia deve cercare di tenere un buon vicinato con la Libia. Lo impongono alcune questioni come l'immigrazione, i progetti di sviluppo e le riserve energetiche. Ma, al tempo stesso, occorre evitare errori che possono essere gravi».
Quale tipo di errori?
«Bisogna guardare al contesto in cui si collocano visite ad alto livello come questa. Basti pensare al mancato viaggio a Teheran del ministro Frattini. Aveva organizzato tutto, stava per partire, quando fu costretto a cancellare all'ultimo minuto la sua visita perché emerse con chiarezza il tentativo di strumentalizzare l'evento a favore del nucleare iraniano. Non vorrei che domenica prossima Berlusconi si trovasse di fronte ad una situazione poco controllabile. In altre parole, rischia: non vorrei che Gheddafi trasformi quella festa in un'occasione per attaccare nuovamente l'Occidente».
Tra l'altro non è escluso che possa partecipare anche Al Megrahi, il terrorista libico dell'attentato di Lockerby, rilasciato recentemente dal governo scozzese e accolto in patria come un eroe.
«Gli aspetti simbolici sono molto importanti per i libici. Proprio per questo consiglierei maggiore prudenza».
Alcuni esponenti del Pd, in prima fila i dalemiani, non scorgono problemi nella nostra presenza a Tripoli.
«Bisogna stare attenti a non uscire dagli assi portanti della nostra politica estera».
Due giorni dopo, il primo settembre, ci sarà anche la festa per i 40 anni della rivoluzione di Gheddafi: Berlusconi non parteciperà, ma ha assicurato l'esibizione delle Frecce Tricolori.
«Lo dico con chiarezza: io non le avrei mandate. Le Frecce Tricolori sono un simbolo della nostra Repubblica. E noi, come grande Paese democratico, dobbiamo essere capaci di spendere i nostri simboli più cari nelle sedi più appropriate: non possiamo collocarle in contesti chiaramente non democratici».
Non sarà anche il prezzo da pagare per la politica dei respingimenti, scelta dal governo contro l'immigrazione clandestina?
«Il governo fa bene a portare avanti gli accordi con la Libia sull'immigrazione: ormai il traffico degli esseri umani è secondo, come volume di affari, solo alla droga e a gestirlo sono forti network criminali. Quindi è opportuno che si stringano accordi bilaterali e multilaterali per contrastare questi arrivi. Ovviamente accettando, invece, l'ingresso degli immigrati previsti dai flussi programmati e tutti i richiedenti asilo. Il guaio è che stiamo passando rapidamente da un'ipotetica accoglienza indiscriminata al chiudere un occhio rispetto alle più basilari regole umanitarie».
C'è stata polemica recentemente anche sui campi di trattenimento degli immigrati in Libia.
«Sono state segnalate violazioni dei diritti umani in alcuni campi nordafricani che definirei di detenzione più che di trattenimento. In presenza di accordi bilaterali l'Italia deve poter effettuare le opportune verifiche. Così come anche l'Unione Europea. Occorre tener presente che, dalle informazioni in nostro possesso, si registrano più morti nella traversata dei deserti che nel mar Mediterraneo»».
Come giudica, dal suo osservatorio, le scelte di politica estera del governo Berlusconi?
«Partiamo dal G8: è andato bene soprattutto dal punto di vista organizzativo. Ma sul piano strategico, per quanto riguarda l'Italia, restano aperti molti interrogativi. Quando è iniziata la nuova legislatura, poco più di un anno fa, negli Stati Uniti c'era ancora Bush, con il quale Berlusconi aveva un rapporto molto stretto. Oggi, con Obama, le cose sono cambiate e il nostro Paese non gode più di una sintonia collaudata, come con la precedente amministrazione americana. Va bene diversificare gli approvvigionamenti energetici, curare i legami con la Russia e anche con la Libia per coprire il settore energetico, ma attenzione a non esporsi troppo sui diversi fronti: per noi restano fondamentali i due pilastri europeo e dell'alleanza atlantica. Non vorrei che nelle scorse settimane abbiamo fatto qualche passo di troppo in altre direzioni».
Come vede il futuro della presenza italiana in Afghanistan?
«Le elezioni sono una tappa importante, ma nessuno si illudeva prima e tanto più adesso: le cose continueranno ad essere difficili in quel Paese. Vedo quindi una presenza che durerà nel tempo. Ed è molto probabile che all'Italia venga chiesto un maggiore impegno, non tanto come numero di truppe, ma come presenza operativa».