FRANCESCO RUTELLI

Libia, «L'Italia si muova con meno attendismo»

Intervento del presidente di Alleanza per l'Italia sull'informativa in Senato del Ministro degli Esteri sulla situazione in Libia

 

Signora Presidente, signor Ministro, colleghi, ci sono stati nei decenni scorsi molti momenti alterni nelle relazioni tra l'Italia e la Libia. Desidero ricordarne uno che è stato trascurato forse anche dalle letture della stampa di queste settimane. La Libia è stato l'unico Paese dal 1945 ad oggi ad avere mosso un attacco convenzionale e militare nei confronti dell'Italia. Un attacco sui generis, certamente. Fu nell'aprile del 1986, quando furono lanciati due missili sull'isola di Lampedusa. Dal '45 ad oggi l'Italia non ha subito attacchi militari al proprio territorio e ancorché quello fosse stato all'epoca anche minimizzato dal nostro Governo - successivamente Gheddafi chiarì che non aveva inteso colpire il territorio italiano, bensì una base americana che si trovava a Lampedusa - in quell'episodio, signor Ministro, io rintraccio tutte le contraddizioni, le criticità e le difficoltà dei nostri rapporti internazionali e dei rapporti bilaterali con la Libia. Questi rapporti sono fatti di due grandi filoni: il primo, che potremmo chiamare della necessaria razionalità, sia pur di fronte ad un interlocutore irrazionale e bugiardo, visto che lei stesso così ha definito Gheddafi nell'Aula della Camera dei deputati, signor Ministro, poco fa a proposito delle dichiarazioni da egli rese concitatamente nella giornata di ieri, in cui accusa l'Italia di avere armato i rivoltosi e sostiene che: «Ci siamo fatti rispettare da tutti, quando sono andato in Italia hanno salutato con rispetto il figlio di Omar Mukhtar», aggiungendo che anche l'Italia è stata sconfitta dalla Libia. Questo è quanto ha dichiarato ieri il leader della rivoluzione libica. Ora, della parte necessaria e razionale, signor Presidente, signor Ministro, fanno parte le questioni che riguardano gli approvvigionamenti energetici, la sicurezza delle nostre frontiere, il controllo dell'immigrazione clandestina e, naturalmente, un contemperamento degli interessi economici nazionali anche con riferimento ad aziende che operano in Paesi a rischio, inclusa la Libia.

Ricordo ai colleghi del Senato che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha approvato una relazione, nell'aprile del 2009, nella quale si fa riferimento non soltanto a tutti i porti dei quali sono partiti, attraverso attività anche corruttive interne al regime libico, i clandestini, ma anche al giro di affari per ciascuno dei clandestini imbarcati all'epoca. Dunque, non vi è dubbio che da parte dell'attuale Governo la prosecuzione delle politiche, come il Ministro ha ricordato, intrattenute dall'Italia per cercare di limitare e di governare questo flusso ha avuto anche sostegni da parte dell'opposizione nella misura in cui si legava all'applicazione dell'intesa bilaterale promossa dal ministro Amato, in parte membro del Governo precedente di cui anch'io ho fatto parte.

 

Quindi, di questa attività, di questo sforzo e di questo tentativo - a nostro avviso - non ha fatto parte un'applicazione dei respingimenti che, in alcuni momenti topici, ha certamente violato accordi internazionali fondamentali in materia di diritti umani. Al contempo, tutti noi abbiamo dovuto agire, signora Presidente, perché queste politiche rispondessero a primari interessi della sicurezza nazionale. E' così per quanto riguarda la questione energetica e le aziende italiane impegnate, anche se oggi va ribadito che sarebbe stata necessaria molta più prudenza nella valutazione dei fattori di rischio da parte di quelle aziende italiane che hanno oggi nei loro pacchetti azionari un'importante partecipazione libica tale da assumere una dimensione strategica.

C'è poi un lato irrazionale, signor Ministro, e di questo lato sono fatte alcune delle scelte a cui abbiamo assistito negli ultimi due anni. Penso che l'Italia abbia dei simboli nazionali, repubblicani, indisponibili e che il vostro Governo li abbia colpevolmente resi disponibili. Mandare le frecce tricolore a Tripoli è stata una vergogna nazionale. Mandare le frecce tricolori e solo all'ultimo momento accettare autorevoli consigli che sconsigliavano che anziché il fumo tricolore esse producessero un fumo di colore verde intonato alla rivoluzione di Gheddafi è stata una pagina umiliante, come è stato umiliante destinare i corpi di elite delle forze italiane e dei carabinieri italiani per rendere un omaggio indecoroso a quel dittatore che oggi si è macchiato di migliaia di morti e di migliaia e migliaia di feriti.

Allora, se questi sono i fatti, il lato della razionalità ci deve sempre guidare, ma l'insegnamento, signor Ministro, della dignità nazionale rispetto ai comportamenti che avete messo in campo ci deve guidare in futuro.

La mia conclusione riguarda le scelte da prendere. Innanzitutto chiediamo formalmente al Governo di applicare le previsioni dello Statuto della Regione siciliana e di inserire la Regione Sicilia nell'unità di crisi poiché è quella terra direttamente responsabilizzata nel quotidiano e nelle sua attività di Governo per quanto riguarda il flusso dei migranti. Dunque, il Governo deve compiere nell'attività di coordinamento quest'atto necessario: coinvolgere la Regione Sicilia, il suo presidente e le sue autorità.

Sul piano strategico, vorrei terminare con alcuni quesiti che restano irrisolti: in primo luogo, quale sia la compatibilità dell'accordo in vigore nei confronti di un Paese che attraverso la sua leadership nei confronti della popolazione effettua bombardamenti indiscriminati. Il secondo quesito riguarda la predisposizione di interlocuzioni nuove.

Sappiamo che i nostri servizi informativi forse sono stati troppo embedded nel regime locale e non ci hanno consentito di ottenere informazioni tempestive ed adeguate. Ecco perché, signora Presidente, signor Ministro, chiediamo di muoverci con meno prudenza e con meno attendismo rispetto a quanto ho sentito oggi affermare dal ministro Frattini. Non vorremmo che ci si trovasse tra poche ore nella condizione di dover seguire l'iniziativa americana della no fly zone, richiesta dai disertori, dai diplomatici che hanno lasciato il regime libico e dalle sparute opposizioni democratiche che sono state massacrate e decimate nei decenni dal regime libico, ma con le quali dobbiamo instaurare un'interlocuzione immediata.

Infine, non può essere facile il rapporto con l'Europa se il Ministro dell'interno afferma che l'Europa non ci risponde, quando invece era stata l'Europa (apprezzo il silenzio e l'imbarazzo del ministro Frattini su questo), nella persona della commissaria Malmstrom, a rendersi disponibile alla collaborazione. L'Italia ha opposto un fin de non-recevoir, salvo poi polemizzare con l'Europa perché non si era resa disponibile, mentre era accaduto esattamente il contrario. È evidente che ci sono dei corto circuiti nelle relazioni con l'Europa.

Apprezzo la dichiarazione del Ministro di voler cambiare rotta, ma su questi quattro punti (il coinvolgimento della regione Sicilia, un impegno immediato per anticipare gli eventi, dato che - come il Ministro ha detto - si annuncia una guerra civile, la volontà di dialogare con le forze in grado di costruire una equilibrio diverso nella Libia di domani e, infine, la possibilità di collaborare con l'Europa e la comunità internazionale) ci aspettiamo di più che non l'attendismo tenue che oggi ha esposto in modo, a mio avviso, inadeguato il ministro Frattini.

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