FRANCESCO RUTELLI

Intervista al Corriere della Sera: «Il fallimento delle cordate non trasparenti del 2005 è stato un bene»


Quattro anni dopo Francesco Rutelli è disposto a concedere l'onore delle armi a Giovanni Consorte, ex numero uno di Unipol ora rinviato a giudizio per l'Opa sulla Bnl, che ieri lo ha tirato in ballo per essere stato uno dei suoi più fieri opposito­ri. «Consorte dà prova di sincerità. La na­scita di un grande gruppo finanziario lega­to alla tradizione del vecchio partito comu­nista e delle coop rosse era una chiara parti­ta politica», dice l'ex vicepresidente del consiglio del governo di Romano Prodi.

Cos'è cambiato dall'estate del 2005?
«In Italia molte cose. A livello del merca­to globale, invece, purtroppo no. Anche do­po l'esplosione della crisi finanziaria resta­no aperti molti interrogativi, che riguarda­no per esempio i bonus e l'uso dei derivati, per cui non sono state tracciate ancora nuo­ve regole. Tutti guardano al G20 di Pitt­sburgh perché si possa prevenire un altro choc, che purtroppo non si può affatto escludere ».

Restiamo in Italia.
«Da quelle vicende indubbiamente ab­biamo imparato tanto. Prima di tutto, che un leader politico parla con chiunque, ma non può né deve benedire scalate o corda­te industriali » .

Le ricordo che poco più di un anno fa la cordata per l'Alitalia è stata benedetta addirittura da Silvio Berlusconi.
«Un metodo sbagliato, e un'operazione industriale che finora fa rimpiangere il mancato accordo con Air France. Tornan­do al tema, lo scenario delle nostre banche è oggi completamente diverso. Allora si scoprì che l'arbitro, il governatore di Banki­talia, era in campo con la sua squadra. Ora con Mario Draghi la musica è radicalmente cambiata. Abbiamo avuto significative ag­gregazioni. Intesa San Paolo. Unicredit. Non c'è più la Banca di Roma e non mi sem­bra una cosa da poco».

Perché cita questo esempio?
«Per dire in che modo le fusioni abbiano modificato la situazione, con la nascita di due grandi gruppi e l'assorbimento di stori­ci istituti » .

Mentre la Bnl è finita ai francesi. E a caro prezzo. Col senno del poi, è stato un bene?
«Il fallimento delle cor­date combinate e non tra­sparenti è stato un bene. Certo, tutti hanno pagato molto caro quello che han­no comprato. Il Monte dei paschi di Siena ha pagato cara l'Antonveneta, e Bnp Paribas ha pagato cara la Bnl. Certamente, se queste operazioni fossero state fat­te solo un po' più tardi i prezzi sarebbero stati di­versi. Ma questo è il merca­to, e la politica non ci deve entrare. E non mi pare pro­prio che il panorama italia­no sia mutato in peggio».

Consorte dice che chi allora criticava l'italianità difesa da Antonio Fazio si è pentito.
«Italianità? La verità è che nel 2005 ci sia­mo trovati di fronte all'ultimo capitolo del collateralismo fra politica e affari. Di tutto avevamo bisogno tranne che di un polo della finanza rossa».

Niente da dire su quella bianca?
«Oggi c'è un importante sistema finan­ziario legato alle cosiddette cooperative bianche, ma non è un esempio di collatera­lismo. Le Bcc sono piccole, legate al territo­rio e non ai partiti. In fondo il fallimento della scalata ha segnato un ripiegamento dalla logica secondo cui la politica aveva le sue cinghie di trasmissione nel sindacato, negli affari...»

Nei furbetti del quartierino...
«Ricordo che nelle intercettazioni qual­cuno di loro domandava all'altro: 'che vor dì hedge fund ?'. E intanto li usavano, con grandi profitti. Ebbene, proprio il caso dei furbetti ha fatto aprire a molti gli occhi sul­la speculazione finanziaria».

C'è chi dice che la scalata fallì per uno scontro politico nel nascente Pd.
«Se si riferisce a Consorte, non ho mai polemizzato con lui e non ho un motivo per non augurami che possa dimostrare la propria innocenza».

Però allora lo contrastò.
«Eccome. Ero convinto che nel nascere il Partito democratico dovesse liberarsi da ogni collateralismo, con le cooperative, la Cgil e il patrimonio del vecchio Pci. Servi­va una forte discontinuità. Altrettanto criti­cabile sarebbe stato un tentativo di rilancia­re il collateralismo con la Cisl o le coop bianche » .

E com'è finita?
«Il collateralismo con le cooperative ros­se non esiste quasi più. Il rapporto con la Cgil sta lentamente evolvendo in modo po­sitivo. Mentre il problema del patrimonio del vecchio Pci è lì, silente. Perché quella eredità di 2400 immobili, una volta smalti­ti i debiti, lascia in campo una potenzialità molto rilevante con cui la politica deve fare i conti».

Anche lei ritiene come Franceschini che quel pa­trimonio debba essere ri­condotto nell'alveo del nuovo partito?
«È un fatto con il quale il partito si dovrà misurare».

Le vicende del 2005 non hanno fatto venire al petti­ne tutti i nodi che la nasci­ta del Pd non ha mai risolto?
«Il problema è sempre lo stesso: più che la fusione dei partiti fondatori, come si ini­zia un nuovo percorso politico. È l'argo­mento di un libro che ho scritto ed esce fra otto giorni : La Svolta, lettera a un partito mai nato » .

Il titolo è tutto un programma. Intanto mi pare che Fassino, il quale all'epoca giudicò positivamente la scalata dell'Uni­pol, abbia il suo stesso candidato per la segreteria: Franceschini.
«Un altro segno positivo di rimescola­mento politico. Bisogna vedere se questo processo arriverà al traguardo. La partita non è conclusa, ma non ho mai nascosto dubbi e preoccupazioni».

Sergio Rizzo per il Corriere della Sera, 22 Settembre 2009

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