Lettera al "Corriere della Sera": «Il mio no alle scalate bancarie»
Caro direttore,
non ho mai replicato alle molte interviste nelle quali l'ex-amministratore di Unipol, Giovanni Consorte, mi ha chiamato in causa per la mia battaglia sulle "scalate" bancarie del 2005. Sono stato da lui nuovamente indicato (Corriere, 30 gennaio) come capofila della campagna contro l'acquisto della BNL da parte di Unipol, ed è il caso di schiarire un po' la memoria su alcuni punti-chiave. Salterò, per necessaria brevità, i riferimenti all'altra scalata (Antonveneta), alle vicende dell'ex-Governatore Fazio, dei "furbetti", dei tentativi di attacco al "Corriere" e, a maggior ragione, il grande tema dei rapporti tra immobiliaristi d'assalto, speculazioni a breve e impresa.
Non conosco Consorte; non ho motivi di avversione per lui, che presenta oggi come allora le sue idee in modo rispettabilmente diretto ed esplicito. Sono idee che non condivido affatto. Egli ha detto al Corriere: "potere economico e politico non sono mai disgiunti (...). Con l'operazione Unipol-BNL saremmo diventati un braccio finanziario a sostegno del governo, e mancava poco alle elezioni del 2006". Con la medesima chiarezza, la strategia di Consorte, di creare una grande "banca di sinistra", fu esplicitata nei consigli di amministrazione del mondo della cooperazione "rossa" come l'ambiziosa volontà di ridisegnare il capitalismo italiano, con l'affermazione di un soggetto in grado di incidere proprio nei rapporti tra finanza, economia e politica.
Credo che gli autorevoli esponenti della sinistra che rilasciarono interviste a difesa di quella scalata non ripeterebbero oggi gli stessi giudizi di allora: su alcuni dei protagonisti delle scalate e sul loro - diciamo così -standing imprenditoriale; e anche sulla validità della strategia di Unipol, che voleva essere cooperatore-assicuratore-banchiere. Nelle sue reiterate recriminazioni, Consorte dà un'interpretazione ancor più politica contro Rutelli e gli altri (tra di essi, rimuove il nome di Bruno Tabacci, che allora era nell'UDC, e cui voglio invece dare merito di avere espresso, anche in quel caso, posizioni limpide e coerenti): l'obiettivo sarebbe stato di impedire il rafforzamento politico-economico-finanziario dei DS, in vista della nascita del PD. Un argomento che merita una risposta molto netta. Si: io mi sono battuto per l'autonomia tra partiti e strutture economiche organizzate.
Come leader della Margherita, ho contrastato il "collateralismo", eredità di un'epoca tramontata (come "cinghia di trasmissione", che fosse da e verso la CGIL o la CISL o la UIL; le cooperative rosse o quelle bianche; le imprese). Ho posto tre condizioni per lo scioglimento della Margherita nel PD: oltre alla non confluenza nel socialismo europeo (condizione tradita) e al pluralismo culturale (condizione annegata in un eclettico caos), anche la condizione dell'autonomia tra politica e soggetti economici. Tra i conflitti d'interesse del nostro tempo, non sento il bisogno di ravvivare quello tra partiti e affari. Il fallimento della scalata di Unipol ha risolto solo una parte di questo problema, poiché altri, rilevanti, sono rimasti in piedi. Se lo riterrà, caro direttore, potremo tornarci su: Consorte è infatti solo uno dei portatori di una cultura, a mio avviso deleteria, che considera doveroso che la sinistra disponga, anche nel XXI secolo, di robusti mezzi diretti e indiretti di gestione economica.